Siamo tutti spettatori (imparziali) di noi stessi
Quando parliamo di cambiamenti parliamo di novità e di tutto ciò che modifica o reinventa lo stato attuale delle cose. Per quanto possano sembrare affascinanti ed eccitanti, i cambiamenti sono anche in grado di attivare forme di paura ancestrale perché ci costringono ad abbandonare uno schema – di ragionamento o di comportamento – ormai collaudato, quindi sicuro, confortevole, prevedibile.
Sulla scia di questa evidenza si è quasi sempre pensato che, dopo una certa età, il nostro cervello smetta di modificarsi. Ma non è così. Le Neuroscienze ci hanno dimostrato in più occasioni che i circuiti neuronali sono altamente plastici e che quindi possiamo modificare anche gli schemi più barricati.
Ricordate la citazione della neurobiologa Lara Boyd proposta nel precendete post? “Costruiamo il cervello che desideriamo” in qualunque momento della nostra vita, dice la neurobiologa parlando di neuroplasticità.
Voglio citarvi un altro studioso molto conosciuto nel settore e che per noi rappresenta un punto di riferimento: Jeffrey M. Schwartz, psichiatra ed esperto di Neuroscienze. C’è un passaggio della sua teoria particolarmente utile in questo contesto. Schwartz è d’accordo con i suoi colleghi nell’affermare che anche gli schemi mentali più consolidati possono essere modificati. Come? Attraverso una forma speciale di consapevolezza che mette insieme due meta-capacità:
- la meta-cognizione, cioè la capacità di pensare a cosa stai pensando
- la meta-consapevolezza, cioè conoscere, momento dopo momento, su cosa è focalizzata la tua attenzione
A onor di verità, Schwartz non è stato il primo a formulare un pensiero simile e a questo proposito, lui stesso ci porta indietro nel tempo di qualche secolo, fino al 1700. Siamo in Scozia dove, grazie al contributo di un importantissimo filosofo nasce la scienza economica. Parlo di Adam Smith. Ebbene sì, anche Smith si è espresso sulla consapevolezza definendola nei termini di “riflessione auto-guidata” e paragonandola metaforicamente a uno spettatore imparziale. Insomma, possiamo pensare a noi stessi in modo oggettivo, quasi neutrale.
A distanza di secoli, le Neuroscienze hanno confermato la verità di tutto questo con evidenze e strumenti scientifici. Ad esempio, l’uso della risonanza magnetica ha dimostrato che quando ci concentriamo sui nostri pensieri, l’attività cerebrale si sposta verso la corteccia prefrontale, che è l’area deputata alle funzioni esecutive come per esempio la pianificazione, il pensiero strategico, il decision making. Questo spostamento facilita la disattivazione di aree cerebrali nelle quali avviene il dialogo interno e la conseguente perdita di concentrazione dovuta al rimuginare tra sé e sé.
A cosa ci può servire tutto questo? Ad avere maggiore lucidità e capacità di focalizzare l’attenzione dove si vuole. Pensiamo alle ricadute che un approccio del genere può avere nei contesti organizzativi… Tutto parte da noi. Più precisamente dal nostro cervello neuroplastico!